“Armature di inchiostro”: come modifichiamo il nostro corpo

Riporto qui gli appunti dell’intervento della Dr Alessandra Lemma al Festival della Mente 2013 di Sarzana, con titolo “Il corpo come una tela. Raffigurare e sfigurare il corpo”. Mi scuso per eventuali incomprensioni o fraintendimenti specifici, sperando di riportare in modo fedele il senso pensiero originale.

La dr Lemma comincia citando Lacan “Noi siamo degli esseri guardati nello spettacolo del mondo”.

Nelle culture non occidentali (per semplificare), le modificazioni corporee assumono un significato simbolico. Ad esempio nelle Fiji si pensava che, dopo morte, le donne non tatuate venissero picchiate dai demoni. Ma sono presenti anche pratiche che provocano cicatrici preventive o autocurative.

Nelle culture occidentali (sempre per semplificare) scrivere o decorare il corpo assume sì una funzione sociale legata alle mode ad esempio, ma più spesso risponde a bisogni interni che sfruttano tali mode per potersi esprimere. Bisogni interni che spesso fanno riferimento a sofferenze o dolori propri dell’individuo.
In quest’ottica quindi “il corpo diventa il sito dell’espressione delle nostre individualità e usato in modo malleabile come una tela”.

Le stesse cure estetiche, dalla crema antirughe al botulino (non cambia il significato profondo a cui rispondono) spesso nascono l’angoscia interiore dall’essere “esseri incorporati” soggetti allo sguardo dell’altro. Dipendiamo da questo sguardo e da quanto è premuroso. Il nostro corpo è sociale e le pressioni socioculturali influenzano il modo in cui percepiamo i nostri corpi. A prescindere da queste pressioni, il corpo è difficile da integrare perché è la prova della nostra impotenza e dipendenza: né l’autocreazione né l’immortalità sono alla nostra portata.
La nostra natura incorporata ci pone di fronte a diverse sfide: tutti noi, infatti,  modifichiamo i nostri corpi nel  mostrarci agli altri e anche gli abiti o i trucchi assolvono questa funzione.

Le modificazioni corporee che mettiamo in atto possono avere una valenza sia di autoaffermazione sia di autodistruzione da un punto di vista psichico.
L’affermare, tuttavia, che la pervasività di queste pratiche oggi assuma sempre una connotazione patologica è errato; ma assume di sicuro un profondo significato psichico.
Metodi di modificazione corporea diversi possono avere significati diversi ma esprimono sempre la qualità delle relazioni interiorizzate e influenzano le nostre relazioni.
Per i giovani possono veicolare e dare senso a confitti in adolescenza. I tatuaggi, ad esempio, possono essere indicatori di altri comportamenti devianti come droghe, suicidio o segno di alterazioni ne’immagine corporea.
C’è ovviamente una differenza tra le modificazioni corporee che mirano a decorare il corpo e modificazioni corporee che mirano a distruggere il corpo in modo molto più violento. Quando la mortificazione corporea diventa obbligata fa sì che il senso di sé dell’individuo si frammenti perché coinvolge le fantasie. In una visione più patologica, infatti, la comprensione delle fantasie inconsce è centrale per capire l’equilibrio psichico.

Tali fantasie, spesso, possono essere raggruppate in tre categorie:
1) RIVENDICAZIONI : la modificazione corporea diventa un modo per riappropriarsi di qualcosa che è stato rubato e appropriato da un altro. L’unico modo per sentire che il corpo ci appartiene è acquisire un senso di sé separato allontanandosi dall’altro odiato attraverso dolorose iniezioni di colore nella pelle
2) AUTOCREAZIONE: nutrire la fantasia di creare sé stessi eludendo l’altro, senza dipendere dall’altro. Si può diventare dipendenti dalle modificazioni corporee, modificazioni che danno il via ad un processo di trasformazione, di autocura come se si diventasse madri del bambino che si ha dentro, in una sorta di autocreazione
3) CORRISPONDENZA PERFETTA: il corpo può farci sentire imprigionati. Cercare il corpo perfetto è garanzia dell’essere desiderati dall’altro.

Le fantasie si applicano anche all’autolesionismo. Creare un sé ideale è come dire una bugia e controllare cosa l’altro pensa di me, rendere l’altro non più opaco a sé.

Non si può mai cancellare la nostra storia per quanto modifichiamo il nostro corpo perché la nostra storia è sempre nel nostro corpo. Affrontare la lealtà del corpo implica rispettare i suoi limiti e farne luogo in cui incontrare l’altro.
Il tatuaggio ha sempre un significato interno, ha sempre una storia. E’ come un sogno. Entrare nel tatuaggio e seguire le associazioni che ne derivano ci permette di arrivare alle fantasie che lo hanno generato. Il tatuaggio crea un terzo che separa. Il corpo modificato può oscillare tra ricerca e attacco dell’altro.
Le forme più compulsive riflettono la difficoltà a far riconoscere se stessi.
La dipendenza alla madre è il prototipo della dipendenza psichica. Quando la dipendenza dagli altri non può essere integrata l’esperienza del corpo è compromessa perché gli altri sono entrati troppo violentemente.
La madre che desiderava troppo o troppo poco si inscrive nel corpo e nel sentirsi desiderabile e separato.
Per sopportare l’essere nel corpo bisogna sperimentare il desiderio: non esaudire in toto il desiderio dell’altro ma almeno ogni tanto sentire di essere desiderato. “Essere causa di desiderio” dice Lacan.

L’avere un’immagine desiderabile agli occhi degli altri può quindi diventare compulsivo.
In questo i Reality Show ci dicono molto. Il reality assume la funzione della fata buona delle fiabe che fa accadere l’impossibile.
Essere visti in TV aumenta l’essere visibili e ammirati nella realtà. Molti di quelli che vi partecipano, non cercano la carriera televisiva ma mettere alla prova la propria desiderabilità, trovare una forma fisica desiderabile che avrebbe garantito lo sguardo desiderabile della madre.
Se lo specchio madre è difettoso, l’individuo da adulto cercherà quello specchio in un altro. La televisione e il pubblico sono uno specchio e uno sguardo che possono ritrovare.
Il non essere guardati diventa rivendicazione e lamentela e la soddisfazione corporea fa si che ci sia la fantasia di autocreazione in cui l’onnipotenza ricrea il corpo.

Mente e corpo sono inseparabili. Bisogna riabilitare il corpo sottraendolo alla trascuratezza. Altrove, il pensiero stesso non è possibile.
Presentare il corpo concretamente nel rapporto con l’altro e dargli parole che per essere capite devono essere penetrate all’interno dell’armatura di inchiostro.

Qui il video con alcuni minuti dell’intervento

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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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Comments 5

  1. Ho letto questo sunto dell’intervento della dott.ssa Lemma e mi trovo daccordo in tutto.
    E’ molto interessante e io, avendo 2 tatuaggi, mi sono ritrovata in uno dei punti riportato sopra.
    Nulla togliendo all’interessante teoria della dottoressa non ho tuttavia trovato appropriato legare l’intervento con la citazione di Lacan il quale afferma "Noi siamo degli esseri guardati nello spettacolo del mondo".

    Il tatuaggio esprime quello che siamo, quello che siamo stati, quello che vorremmo essere ciò di cui magari avremmo bisogno. Potrebbe essere un desiderio che vorremmo si avveri. Potrebbe pure essere un modo per piacere, come dice Lemma.
    Il tatuaggio potrebbe essere tutto anche un “non-sense”! O una cicatrice di un dolore.
    Io me lo faccio perché non dimentichi. Io me lo faccio perchè lo sento mio.
    Ma la mia chiave di lettura personale della frase di Lacan non mi dà l’idea che esprima i pensieri scritti sopra con i quali tra l’altro concordo.
    Il tatuaggio è la nostra pelle, è di noi esseri appunto, e non è guardato “nello spettacolo del mondo” ma è il mondo in cui viviamo che non lo sentiamo nostro in fondo. Ci vogliamo differenziare in qualche modo. Personalizzare. Il mondo inteso come società, come cultura come tutto ciò che si vuole non sarà mai inteso come l’”io” di una persona. Sono io lo spettacolo, non il mondo. Sono io che desidero e il mondo allora non è uno spettacolo ma sono io che, personalizzando il mio corpo, in qualche modo ne voglio uscire. Mi voglio differenziale. E non importa se lo faccio perché voglio essere ammirata o suscitare interesse al mondo.
    Il punto è che io non mi voglio differenziare. Dal resto del mondo.
    Ammira i miei tatuaggi, quello che sono, quello voglio e che non voglio. Ammira e leggi le mie sofferenze. Tu mondo non ne fai parte perché sono IO che volente o nolente vivo i miei tatuaggi.

    Non so se mi sono spiegata.
    La frase di Lacan non la trovo appropriata con l’affascinante teoria della dottoressa.
    Io con un tatuaggio cerco quello che sono prima che tutto questo accadesse. Prima che il mondo esistesse quindi.

  2. In realtà hai colto bene il senso della frase di Lacan che dici di non condividere.
    Quando affermi "Ammira i miei tatuaggi, quello che sono, quello voglio e che non voglio. Ammira e leggi le mie sofferenze. Tu mondo non ne fai parte perché sono IO che volente o nolente vivo i miei tatuaggi" indichi proprio questo.
    In quell'ammira sta l'occhio del mondo. E qui si innesta la nostra reazione a quello sguardo: rifiuto o desiderio di accettazione. Vogliamo non essere apprezzati da quello sguardo perchè ce ne vogliamo differenziare oppure lo ricerchiamo e ne ricerchiamo l'approvazione. Sono due modalità che possono estremizzarsi (come raccontano gli esempi riportati) in modo anche dannoso per l'individuo.
    Ma sempre vi è lo sguardo dell'altro in misura minore o maggiore.
    Il resto è il pensiero della Dott.ssa Lemma che condividevi per cui non mi ci soffermo oltre.
    Grazie!

    1. Secondo me non sta in "quell'ammira" l'occhio del mondo, per il semplice motivo che l'occhio del mondo non è altro che noi stessi. E non abbiamo una reazione a quello sguardo perché siamo noi quello sguardo.
      Il tatuaggio è uno specchio. E dentro ci vedi ciò che vuoi. Il mondo sta fuori da questo. Può essere un palco scenico, quello si. Ma questa è un'altra storia…
      Secondo me 🙂

    2. Ritengo che questo ragionamento si basi sul fatto che una persona abbia una buona consapevolezza di sé al punto da distinguersi dal mondo e capirne l'influenza su di sé. A volte però questa consapevolezza di se non è presente e l'occhio del mondo diventa prepotentemente importante nel definire la propria identità sia che lo si rifiuti, sia che vi si omologhi.

  3. Pingback: Il nostro doppio nel cinema e nella vita - Identità in gabbia di Sonia Bertinat

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