Fin dai miei studi liceali ho amato la strutture di archi e volte per quella sospensione a prima vista inspiegabile tenuta su da un unico elemento: la chiave di volta.
Guardando le foto delle prime vacanze date dal ponte del 2 giugno, dei miei contatti su Facebook, ho notato, non ricordo in quale profilo, queste architetture e mi si è accesa una associazione.
[Tweet “La chiave di volta potrebbe essere una metafora per il centro della nostra personalità?”]E allora ho cominciato a cercare informazioni su come, fisicamente, funziona la chiave di volta. E ho trovato questa descrizione su Wiki.
l’arco con cunei non ha bisogno di essere sostenuto da malta, stando perfettamente in piedi anche a secco, grazie alle spinte di contrasto che si annullano tra concio e concio.
Quindi contrariamente ai mattoni di una casa (o dei pilastri che sorreggono l’arco) che hanno bisogno di un collante per stare insieme, la chiave di volta tiene su il tutto con una “semplice” ridistribuzione del peso della parte sospesa sull’intera struttura, sfidando la forza di gravità.
La nostra personalità è una “federazione” di parti diverse che formano il tutto. Una personalità armonica si ha quando tutte le parti sono consapevoli e “colloquiano” con le altre sotto la spinta del suo centro organizzatore: il Sé (lo abbiamo già incontrato parlando di Mandala). Una sorta di chiave di volta che distribuisce il peso delle diverse parti facendo sì che non solo la totalità della persona sia in piedi, ma che possa costituire delle aperture che permettono di relazionarsi col mondo.
L’obiettivo dell’individuazione junghiana è proprio quella di giungere al nostro. E qui, nelle mie ricerche, ho trovato un tutorial sulla costruzione di un arco che mi piace leggere come una metafora della terapia che porta a dar voce a tutte le nostre parti, prenderne consapevolezza arrivando a trovare la nostra chiave di volta (le citazioni che seguono fanno parte del tutorial).
“Posando i cunei, ci si accorge che questo è possibile farlo per alcuni cunei, dopo un certo numero, però, la cosa non è più possibile, perché questi scivolano e fanno crollare tutto.
Spesso quando percepiamo qualche lieve cedimento o quando un evento o un malessere ci fa crollare come un mucchio di sassi che ostruiscono la nostra vita pensiamo che possiamo farcela da soli. Spesso ci sentiamo dire che se solo ci mettessimo un po’ di buona volontà riusciremmo a risollevarci. Come ho detto in un altro post, spesso stare un po’ nelle macerie può essere funzionale, ma poi dobbiamo trovare la forza di guardarle, decidere quali tenere e quali no, e cominciare a ricostruire la nostra struttura.
Ecco che è necessario costruire una struttura provvisoria, la “centina“, che ha lo scopo di sostenere i cunei, fintanto che l’arco non è completato. Infatti la posa adesso prosegue con facilità e anche i cunei che vengono posti quasi in verticale non cadono giù. Continuiamo fino quasi al completamento dell’arco. L’ultimo elemento da inserire fra i cunei è la “chiave di volta” che, “risolve” il problema della tenuta dei cunei.
E se la confusione è troppa? E se il peso della ristrutturazione è troppo per le nostre forze? Ecco che mi piace pensare alla centina come alla terapia. La terapia fornisce un sostegno momentaneo che fornisce sollievo e aiuto. All’inizio c’è l’analisi delle diverse parti, assumerne il significato e il peso che hanno per noi, riuscire ad eliminare quelle che non ci servono più (troppe volte ci portiamo sulle spalle pesi inutili).
Solo dopo aver fatto chiarezza, utilizzando il supporto dato dalla centina/terapia, possiamo ricollocare quei pezzi al loro posto. In tutto questo percorso di analisi delle parti e della loro collocazione nella nostra totalità, intraprendiamo un viaggio interiore affascinante e risanatore che ci porta verso il nostro sé, la nostra chiave di volta, che riconosciamo attraverso i simboli con cui ci parla.
Ma evidentemente l’apertura che è ostruita dalla centina deve essere ripristinata. Per cui si smonta la costruzione eliminando i pezzi, ormai non necessari. L’arco adesso, è in grado di sostenersi da solo.
A questo punto si comincia a smantellare la centina/terapia, lentamente, verificando che la struttura regga, e lasciando quella apertura che ci permette di rimetterci in relazione col mondo in modo più completo, con una apertura che non intacca la nostra struttura ma che permette un fluire costante tra interno ed esterno che anziché intaccarci ci rinforza e ci arricchisce.
Le foto nel post sono tratte da questo sito.
La foto in evidenza mi è stata gentilmente donata da Sabina De Mori, artista torinese (qui la pagina Facebook con alcune sue opere).
Sonia Bertinat
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