11 settembre

L’11 settembre e la distorsione mentale

Penso che in molti abbiamo impresso in modo vivido nella mente cosa facevamo 15 anni fa in quel fatidico 11 settembre 2001.

Io lavoravo in una comunità psichiatrica. Era vicina la fine del turno ed ero in ufficio a scrivere il report della mattinata. Senza bussare un ragazzo spalanca la porta. E’ affannato e cinereo. Mi dice solo: “Sonia, vieni a vedere”. Scendiamo nella sala tv e ci troviamo tutti in piedi davanti a quel rettangolo che ci rimanda immagini a cui non sappiamo dare una spiegazione. Non saprei dare una spiegazione razionale, purtroppo di guerre ne avevamo viste, sebbene solo in tv. Al mio primo anno di Università mi trovai immersa nella follia generale degli acquisti compulsivi di cibo per la Guerra in Iraq e i titoli dei quotidiani con “E’ guerra”. Eppure quelle immagini mi gelarono e un senso profondo di paura mi invase. Le dichiarazioni fin dalla prima ora preannunciano scenari tutt’altro che pacifici.

E lo scenario c’è stato. Altre guerre, interminabili e inutili come solo possono essere le guerre, benché le chiamino Missioni di Pace.

Ecco cosa ha cambiato quell’11 settembre. Ha cambiato il mondo perché il terrore ci ha pervaso. Il terrore per un pericolo di cui non sapevamo il nome e che non sapevamo quando e come poteva colpirci. E in nome di quel terrore siamo stati ben disposti ad accettare, fino ad abituarci, a tutte le restrizioni imposte “per la sicurezza”.

La nostra mente è uno strumento eccezionale. Riesce ad abituarsi alle peggio cose e a “normalizzarle”. La condivisione a livello mondiale del terrore, poi, ha reso questa cosa più facile.

Abbiamo imparato parole nuove, che fino al giorno prima ignoravamo. Nomi nuovi proposti come famosi ma che era sconosciuti ai più. Ma che dopo pochi giorni ci sembrava di aver sempre sentito. Una distorsione impercettibile.

E la paura fa chiudere le porte, anche quelle dell’animo umano, in un atavico istinto di sopravvivenza riassunto nel motto latino “mors tua, vita mea”. [Tweet “Forse egoisti lo eravamo pure prima, ma ora eravamo legittimati ad esserlo. Per la sicurezza.”]

E piano piano ci siamo abituati ai controlli, ad ogni viaggio affrontiamo con naturalezza i controlli aeroportuali, ci togliamo le scarpe e ci spogliamo di tutti gli oggetti metallici. Abbiamo imparato che il bagaglio a mano, che serviva per portare gli oggetti di prima necessità nel caso in cui le valigie fossero smarrite, non poteva più portare quegli oggetti. Ma ci siamo abituati.

Uno scossone violento e poi ci assestiamo, come se fossimo dotati di sofisticati impianti antisismici.

Una funzione positiva della nostra mente rischia però di farci perdere il senso. La necessità di abituarsi per economizzare l’energia mentale necessaria per affrontare la realtà quotidiana. E questa abitudine ci rende un po’ immuni dalle successive catastrofi, come se la nostra mente fosse avvolta in molti cuscini che attutiscono l’impatto di corpi dilaniati o disperati che affogano. Per non subire scossoni troppo forti ci siamo anestetizzati. E l’Altro da noi si è allontanato perdendo a volte la sua umanità ai nostri occhi.

Tutti diffidiamo di tutti, “perché non si sa mai”. E allora pace se fino ad allora avevamo gioito del poterci muovere liberamente per l’Europa sentendoci un po’ a casa anche all’estero perché non c’erano più dogane.

Nel 2002 feci un viaggio in Austria, Germania, Repubblica Ceca (dove ancora si accedeva con il passaporto). Da Vienna presi il treno per andare a Bratislava, in Slovacchia, e ricordo che il treno si fermò in mezzo ai campi e salirono i militari che controllarono i passaporti mettendovi il timbro. Normali controlli di frontiera, certo. Ma mi lasciarono una notevole inquietudine che fu spazzata via dalla consapevolezza che erano gli ultimi strascichi di una divisione che stava per essere superata.

Ma visti i tanti progetti di mura da erigere per bloccare le frontiere, direi che così non era. Abbiamo ripreso ad ergere muri, innanzitutto nel nostro cuore. E la paura dell’Altro è talmente alta che non abbiamo ancora esaurito la capacità di accettare limitazioni alla libertà.

Di chiunque.

 

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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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