Il 16 dicembre ho condotto un incontro in una 5a elementare della provincia di Torino. Il mandato del progetto in realtà era molto molto vasto e andava dall’educazione alla sessualità, al bullismo al rispetto per l’Altro. Da subito ho detto alle insegnanti che mi hanno contattato che in un solo incontro era impossibile affrontare tutti i temi che avevano indicato per cui ho proposto di lavorare giocando sugli stereotipi di genere.
Di stereotipi di genere me ne sono occupata tutto lo scorso anno nel tour “Ma di che gender stiamo parlando“, perché è sugli stereotipi, sui pregiudizi che trovano terreno fertile tutti quegli agiti che identificano delle “vittime” e parallelamente dei “carnefici”, che si parli di bullismo, omofobia, violenza di genere e così via.
Il materiale
Ho centrato l’intervento sul gioco “Conosci Andrea?“, grazie ai suggerimenti della bravissima Caterina Ramonda e al preziosissimo aiuto e supporto di Giuseppina Diamanti, ideatrice del gioco. Conosci Andrea è un gioco che mira a mettere in luce, per poterli mettere in discussione, gli stereotipi di genere con lo scopo di educare al rispetto delle differenze e alla parità di genere.
In cosa consiste il gioco? Lo scopo è quello di visitare i luoghi di vita di Andrea per raccogliere degli indizi sui suoi gusti, abitudini, caratteristiche che aiuteranno a farsi un’idea sul fatto che Andrea sia maschio o femmina. Solo una volta raccolti tutti gli indizi, si otterrà in municipio la carta di identità di Andrea.
E’ un gioco che, oltre all’obiettivo primario, permette di confrontarsi sui temi della collaborazione/competizione perché si gioca a squadre che possono o collaborare per raccogliere indizi che portino ad un* unic* Andrea, o competere per arrivare per primi a trovare l’Andrea della propria squadra.
Le squadre
Prima di cominciare il gioco, in cerchio ci siamo presentati e abbiamo presentato i nostri vicini.
Subito dopo ho chiesto di prendere un post it e di scrivervi sul fronte, tre caratteristiche personali, positive o negative, e sul retro, quello che volevano fare da grandi. Una volta attaccato sulla maglia era visibile solo il fronte.
L’indicazione successiva è stata di trovare altri due compagni con caratteristiche simili a quelle segnate sul proprio post it senza cercare l’amic* del cuore per fare squadra insieme.
Questo è stato un momento molto interessante che aprirebbe ad altri incontri in quanto molti hanno avuto delle difficoltà nel descriversi (o perché incapaci di farlo o perché timorosi dei giudizi) e altri nel trovare chi aveva caratteristiche simili alle loro . Una bambina mi dice “Ma io non so cosa sento”. Molti poi, dopo aver letto i post it altrui corrono al banco per modificare i proprio, cosa che viene chiesto loro di non fare.
Il gioco
Pur essendo divisi in squadre il gioco era cooperativo e tutti vincevano raccogliendo gli indizi che portavano a capire chi fosse Andrea.
Nonostante questo, la competizione si è fatta strada comunque, anche in chi, con stupore delle insegnanti, non aveva mai avuto atteggiamenti prevaricatori o impositivi.
Il gioco prevede vari luoghi di vita (la scuola, la spiaggia, la casa dei nonni e così via) e per ogni luogo è prevista una carta indizio doppia perché declinata sia al maschile sia al femminile e l’indizio va chiesto declinando il genere (chiedo l’indizio al nonno o alla nonna, al bagnino o alla bagnina ecc). Questo permette di non declinare i vari mestieri o ruoli come appartenenti esclusivamente ad un genere e non all’altro.
Lungo il percorso ci sono delle caselle nere corrispondenti alle carte imprevisto. Mentre al primo giro tutti cercavano di evitarle, dopo aver letto le prime, ci andavano appositamente trovandole accattivanti anche se per lo più sono imprevisti negativi e spesso sottolineanti stereotipi di genere in modo molto marcato (es. se non ci sono bambine con la gonna perdi un turno; se un bambino non disegna un cuore, perdi una carta).
Terminato tutto il percorso e raccolti tutti gli indizi, si arriva al Municipio, dove il Sindaco o la Sindaca dichiarano l’identità di Andrea. Prima di svelarla ho chiesto di scrivere tutti gli indizi alla lavagna, a turno. Poi ci siamo seduti in cerchio e abbiamo ragionato sulle varie possibilità.
La discussione
Subito Andrea era un maschio di sicuro, perché andava sullo “skateboard come un pericolo pubblico” ad esempio, ma dopo un po’ di riflessioni cominciano a insorgere i dubbi perché “Andrea ha incontrato Tommaso e non osa dirgli che lo trova simpatico” (un maschio perché dovrebbe avere problemi, si chiedono) oppure perché “ha la maglia con il quadro con La Gioconda” (femminile a detta di molti). Però no, è un maschio perché c’è scritto che “é un tipo molto…”.
Tutto questo ha aperto una lunga disquisizione sulla lingua italiana (che declina al maschile) e “Non è giusto!!” (esordiscono le bambine), sui costumi delle varie epoche e luoghi geografici (in Scozia la gonna per gli uomini, le divise nei college, i merletti del 1700 ecc).
Abbiamo infine svelato chi fosse Andrea: una bambina di 1o anni coi genitori separati. E sono ripartiti gli interventi molto infervorati tra 13 braccia alzate che chiedevano parola.
Sveliamo quindi il retro del post it, dove era stato scritto il “cosa farò da grande” che ha sollecitato altri stereotipi. Alla bambina che voleva fare l’elettricista viene detto che “si prenderà di sicuro la scossa!”.
Alla fine le maestre chiedono cosa ha insegnato loro questo incontro. Un bambino urla entusiasta “l’uguaglianza!”, “Che siamo diversi ma tutti esseri umani!” dice una bambina e la classe appoggia la sintesi.
Conclusioni
Questi, e altri temi più personali che sono emersi, hanno permesso di parlare degli stereotipi di genere, del rispetto per gli altri, per il loro sentire anche se si discosta dalla norma (che abbiamo tradotto con abitudine) e di come non ci siano per forza lavori o passioni riservate a un genere piuttosto che a un altro.
L’energia, le idee e le emozioni in circolo sono state tante e ora, qualora non si trovassero ulteriori fondi per approfondire, sono nelle mani delle bravissime insegnanti che hanno scritto il progetto e della preside che tanto ci ha creduto e che ringrazio.
Perché è questo il clima e l’entusiasmo che fa una buona scuola che affianca alle nozioni un lavoro educativo più ampio e inclusivo.
Sonia Bertinat
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