Creare, mostrare spazi di possibile è ciò che cerco di fare nella mia attività lavorativa. Che riguardi una psicoterapia o un intervento di prevenzione, questo cerco di fare.
Ma vi spiego meglio cosa intendo.
Cosa sono gli spazi di possibile?
Creare spazi di possibile implica esplicitare che alcune cose accadono, che alcuni fenomeni esistono.
Implica porgere delle cornici in cui, chi si rivolge a me, possa inserire il suo sentire, i suoi vissuti, la sua esperienza.
Spesso non ci sono parole perché non ci si può dire che quello che sta accadendo a noi o che è accaduto non riguarda solo noi per qualche nostra intrinseca mancanza o incapacità ma perché semplicemente può accadere.
Ci sono, per generalizzare due direzioni in cui si possono sviluppare questi spazi.
Spazi di possibile verso il passato
Spesso esperienze dolorose non sono dicibili. Perché pensiamo siano capitate solo a noi, come dicevo, per una qualche incapacità o colpa nostra intrinseca.
Ciò crea un vissuto non solo appunto di colpa ma anche di estrema solitudine.
A volte sono esperienze che nemmeno riusciamo a ricordare o affrontare consapevolmente o di cui ci vergognamo.
- Esplicitare che eventi dolorosi capitano più spesso di quanto immaginiamo (mi riferisco ad esempio ai casi di abuso infantile) e che spiegano molte difficoltà che si incontrano e che portano a richiedere aiuto;
- Esplicitare le caratteristiche di un atto prevaricatore e del ruolo dei diversi attori, dei risvolti psicologici che può avere e le persone più soggette a tali atti (come nel bullismo o nel cyberbullismo);
- Esplicitare le difficoltà nell’affermare la propria identità o nell’affrontare i vissuti che tale affermazione provoca nelle persone significative (come nel caso delle identità sessuali)
- Esplicitare le dinamiche insite in una patologia come generali e non proprie della persona (come nelle dipendenze)
Molte volte mi è capitato di cogliere sguardi di sollievo immediati o rivelazioni anche dopo tempo, proprio grazie a queste esplicitazioni.
Il senso è questo: “Io ti dico che ho percepito la tua difficoltà, che è una situazione che ho in mente come possibile, che la contemplo e non mi stupisco di essa”.
Questi sono spazi di possibile. Io li offro come luogo in cui muoversi sapendo che i confini sono chiari e contenitivi. Ognuno poi, secondo le proprie possibilità, esplerà tali spazi per tempo prima di immetterci la propria dimensione personale oppure lo farà immediatamente. Non c’è una regola. Non ci sono limiti di tempo. Ognuno ha i propri.
Spazi di possibile verso il futuro
Sono spazi di evoluzione, di prognosi. “Solo io faccio così fatica a uscire dalla mia situazione?” “Solo io ricado nelle stesse dinamiche?” “Solo io ho bisogno di così tanto tempo per fidarmi/affidarmi?”.
A volte queste domande vengono esplicitate, soprattutto dopo un po’ di tempo in un lavoro psicoterapico. A volte sono domande sottintese, velate.
In questo caso è opportuno inserire degli spazi di possibile verso il futuro, che non siano chimere illusorie (tipo ce la farai sicuramente) ma che diano il senso, di nuovo, che non si è soli e che ce la si può fare a stare meglio.
Il valore della condivisione
Mi sono specializzata in psicoterapia individuale e di gruppo per cui so bene quale potenza possano avere terapeuticamente le dimensioni gruppali. I gruppi, nello scambio tra i partecipanti, attraverso la condivisione, creano continuamente spazi di possibile reciproci in cui potersi identificare o confrontandosi coi quali potersi differenziare per trovare la propria dimensione.
Io credo che questo valore in parte possa essere portato nelle situazioni individuali proprio creando quelli che ho chiamato spazi di possibile.
In questo contesto assume un senso a parer mio la self-.disclosure del terapeuta. Il rivelare, cioé esperienza di vita del terapeuta affinché la persona che chiede aiuto possa rispecchiarsi o confrontare la propria esperienza.
Conclusione
L’intervento psicologico è un intervento relazionale in primis, in cui ci sono due o più attori.
Non è una relazione paritaria ovviamente: una o più persone sono in difficoltà e un’altra è incaricata di dare aiuto.
L’ascolto è la prima cosa ma a volte è necessario intervenire per offrire qualcosa, per creare attivamente un campo in cui la relazione possa giocarsi.
Sonia Bertinat
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