cominciare

La fatica del cominciare

Cominciare, trovare la parola giusta, il gesto giusto che dia il la al tutto spesso non è facile. Anche se sappiamo che una volta fatto il primo passo il resto spesso viene da sé, un po’ come i fazzoletti che il prestigiatore tira fuori dalla manica.

Riflettevo su questo guardando la scaletta per il prossimo articolo per il blog #6memes di Maps Group (se vuoi leggere gli articoli precedenti li trovi qui e qui).

Spesso gli scrittori dicono che, pur avendo già la storia in testa, la prima parola, la prima frase è quella che li mette più in difficoltà e che, in proporzione, occupa un tempo di elaborazione e decisione notevole rispetto al resto.

E’ un po’ come entrare in acqua al mare. Sappiamo nuotare magari, sappiamo che sarà piacevole, ma i primi passi nell’acqua fredda ci colgono a volte indecisi.

Decidere come e quando cominciare implica mettere un segno, una tacca che influenzerà ciò che svilupperemo dopo.

Ma, soprattutto, implica muoversi da una posizione, sicura, certa, ad un’altra che non sappiamo se ci porterà verso il risultato desiderato.

Mi sono sempre descritta come una personalità diesel, ci metto tempo a carburare e iniziare il cammino ma poi reggo bene sulla distanza. Parallelamente funziono bene nelle situazioni di emergenza in cui devo agire senza pensare.

Ecco, senza pensare.

Spesso, infatti, il nostro pensare è di ostacolo rispetto al nostro sentire.

No, non sto dicendo che bisogna agire sull’impulso e non metterci mai raziocinio. Ma a volte il troppo pensare cortocircuita l’agire perché tutti i movimenti rimangono nella nostra testa.

Nelle situazioni di emergenza, invece, agiamo istintivamente: possiamo buttarci a capofitto o bloccarci, ma sono azioni che accolgono il pensiero solo successivamente (ed è fondamentale farlo).

L’indecisione, l’incertezza, la paura di sbagliare sono ostacoli che ci portano a rimuginare, a procrastinare potenzialmente all’infinito.

Ci portano a stare in una assetto in cui tutte le vie sono ancora possibili e non dobbiamo vivere il disagio di aver scelto una via sacrificando le altre: “Avrò fatto la scelta giusta?”.

Certo, nella scrittura è un processo reversibile. Se proprio abbiamo usato un incipit che non funziona possiamo tornare indietro e riscriverlo, anche se emotivamente questo non limita l’indecisione.

Ma nella vita, dove le scelte non sempre sono reversibili, buttarsi è più difficile.

Accetto la nuova proposta di lavoro? Metto fine a una relazione in cui non sto bene?

Ciò che ci spaventa e ci blocca è la paura del cambiamento. Tante volte ci lanciamo in modo dichiaratamente irrazionale (“Ho fatto una pazzia”, diciamo) per permetterci di agire.

In tutto questo, oltre alla nostra paura, entra in gioco lo sguardo degli altri, il timore del giudizio.

Se ci pensate, sicuramente vi sarete trovati almeno una volta in questa situazione. E se la decisione era quella giusta, il sollievo successivo e anche l’euforia di aver fatto quel primo passo.

Quando una persona mi chiama dicendo “Vorrei cominciare un percorso”, quello è il primo passo. Perché chissà da quanto aveva il numero, chissà quante volte ha detto “Chiamo domani”. Una volta composto il numero è fatta. La tacca è segnata. Certo può tornare indietro, può non presentarsi all’appuntamento o interrompere. Ma quel primo passo farà sì che non torni indietro nello stesso punto.

Diverso invece è per chi arriva sull’emergenza di un malessere insostenibile. Non essendoci molto pensiero perché sopraffatti dalle emozioni, si chiama come se si bevesse avidamente a una fontana dopo aver sofferto la sete.

Poi si arriva e più o meno velocemente, il pensiero si riconnette e bisogna riconcordare quel primo passo.

In entrambi i casi, se si continua sentitamente sul percorso intrapreso, un po’ come per la scrittura, i contenuti vengono fuori in modo collegato.

E nel momento in cui li vediamo, li possiamo anche riscrivere. Un po’ come, in un articolo, dopo la prima stesura, ci si avvia alla revisione e alle correzione delle bozze.

In fondo basta solo trovare il primo lembo, di quel primo fazzoletto, infilando due dita dentro la manica, afferrarlo e cominciare a tirare. E per quanto a volte possa essere doloroso, ci possano essere intoppi, nodi, blocchi, regolando la forza con cui si tira a seconda delle necessità, tutti i fazzoletti verranno fuori.

E non c’entra la magia…

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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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