La disillusione di non trovare un lavoro è oggi quanto più frequente. Soprattutto se il lavoro che si cerca è ‘quello per cui abbiamo studiato’.
Parlando stasera con una cara collega ho ripensato al mio percorso. E lo racconto qui dedicandolo ai giovani colleghi.
Se da un lato, infatti, sono entrata nel mondo del lavoro in un momento buono, dall’altro molte illusioni con cui ho cominciato sono cadute, man mano che proseguivo, come tessere di un domino.
Breve (si fa per dire) excursus
Ho scelto di fare il liceo scientifico perché allora (parliamo del 1985) se uscivi con una buona votazione potevi lavorare in banca a differenza del liceo classico (che avrei voluto fare).
Raggiunta l’ambita maturità ci viene detto che no, ci spiace, serve la laurea.
Pazienza mi dico, mica voglio lavorare in banca.
Io voglio fare la psicologa!
Baldanzosa e ricca di buone speranze nel 1990 mi iscrivo a psicologia a Torino circondata da altri pochi intimi (eravamo in 3000).
La legge che ordinava la professione di psicologo era dell’anno prima e lo stesso valeva per il Corso di Laurea in Psicologia di Torino all’interno della Facoltà di Magistero (l’antenato di Scienze della formazione).
Corso di Laurea anomalo per quella facoltà di per sé in quanto vi si accedeva solo con la maturità (non bastavano i 4 anni di magistrale come per gli altri corsi) e durava 5 anni e non 4.
Sempre col mio bagaglio di floride speranze, comincio gli studi che, secondo le aspettative allora in voga, mi avrebbero permesso di accedere ai concorsi USSL (vecchia denominazione di ASL).
Già perché l’abilitazione tramite esame di stato era prevista solo se si faceva libera professione.
Supero il biennio (allora erano 5 anni divisi in biennio propedeutico e triennio di approfondimento nei settori scelti) e mi avvio verso la mia vocazione (i bambini!) scegliendo il triennio a orientamento clinico-evolutivo.
Nel mentre, però, ecco il primo mutamento: le USSL nel ’92 diventano ASL e cambiano le regole. Abilitazione e specializzazione richieste per accedere ai concorsi.
I miei ideali 5 anni e poi ‘vai di concorsi’ si modificarono gioco forza.
Finita l’università con una bella (un po’ di autoincensamento) laurea sui bambini e una passione per Jung, mi avvio a cercare un posto per il tirocinio.
Faccio domanda in due NPI (neuropsichiatria infantile) e, così, per scaramanzia, in un Sert.
E qui si infrange un altro sogno, quello di lavorare coi bambini.
Richieste in NPI: 42
Richieste Sert: 2
Vengo presa al Sert con un’altra collega e avevamo praticamente due tutor tutti per noi. Un anno altamente formativo che mi ha dato molto.
Decido quindi che voglio lavorare con le tossicodipendenze (ah come cambiano le passioni di fronte alle esperienze).
Finito il tirocinio, faccio domanda in una comunità di Torino e faccio la prova.
Nel colloquio finale, quanta ingenuità, pensai bene di esplicitare tutte le mie perplessità sul metodo utilizzato.
Risultato: non idonea.
Panico! Mancavano 3 mesi alla fine del tirocinio e non avevo un lavoro.
A tirocinio finito da un mese, la mia collega di tirocinio mi dice che ha saputo di una Comunità psichiatrica vicino a casa mia che cercava personale.
Mi prendono subito pur non avendo esperienza e avendo come unica formazione il Corso tenuto dal Dott. Paolo Henry (direttore dell’ex OP di Grugliasco, vicino a Torino). Corso opzionale che avevo scelto di mia sponte.
Mi abilito e cambio Comunità. In questa, grazie a una psichiatra Junghiana comincio a co-condurre dei gruppi terapeutici sulla fiaba e con un collega un gruppo sul disegno e uno sul teatro.
Bene, i gruppi mi piacciono e decido di cominciare, dopo 3 anni dall’abilitazione, la scuola di psicoterapia dove ci si formava sullo psicodramma junghiano e comincio il tirocinio in un Sert vicino al lavoro.
Al secondo anno mi ammalo e non solo perdo un anno di scuola ma perdo il lavoro.
La mia più grande fortuna! No, non sono impazzita.
Durante quell’anno scelsi di fare volontariato al Sert per non perdere il posto e proprio in quell’anno venni coinvolta nel neonato servizio per il gioco d’azzardo.
Una volta guarita, trovo lavoro in una cooperativa come sostituta. In quel periodo, prima di essere assunta nel servizio di educativa territoriale, ho avuto la possibilità di lavorare negli ambiti più disparati: il carcere, un drop in per tossicodipendenti e migranti, una comunità per disabili e una comunità psichiatrica.
Un lavoro che mi ha formato tantissimo soprattutto per l’elasticità mentale che richiedeva il passare da un ambito all’altro.
All’ultimo anno di specializzazione, 2006, ho avuto una consulenza presso il servizio per il gioco d’azzardo e in concomitanza lavoravo in educativa territoriale per la cooperativa.
Nel 2009 ho avuto l’agognata convenzione ASL e ho dovuto lasciare la cooperativa.
E sono ancora lì. Il resto è storia 😉
Tirando le fila
Se riguardo indietro il mio percorso vedo che sì ci sono stati eventi apparentemente ‘casuali’ ma sono eventi che ho ‘chiamato’ creando i presupposti per incapparvi. Se nell’anno di convalescenza mi fossi chiusa in casa forse ora non sarei quella che sono.
Il caso va incontrato creando ocCASioni, spianando strade, allargando il proprio orizzonte.
Che nessuno ci bussi alla porta offrendoci un lavoro è una ovvietà ma forse a volte l’ovvio è bene ribadirlo.
Ripeto, riguardando indietro, se io non avessi creato/colto occasioni, non si sarebbero verificati gli eventi.
Mi piace pensare al nostro percorso nella vita come un’enorme rete con trama e nodi.
Ogni volta che attiviamo un nodo si illuminano le possibilità in un’area. Ne scegliamo una e si illumina un’altra area.
Ora, i nodi possiamo far sì che si accendano a caso certo, ma avremo una mappa frammentata.
Se invece abbiamo una direzione (chiamiamola passione, interesse, talento) avremo un fil rouge con cui legare tutti i nodi attivati.
Ovvio che ci saranno aree che non esploreremo mai. Ma avremo la possibilità di costruire il nostro percorso.
In molti punti avrei potuto arenarmi, pensare che era troppo difficile ma sono riuscita a trovare uno zaino sufficientemente capiente (un po’ come quello dei videogame) per contenere tutti gli strumenti che trovavo sul mio cammino.
Perché come in un videogame, anche se trovi uno strumento che al momento non ti serve, sai che potrà tornarti utile in seguito.
Per coltivare le proprie passioni, bisogna innanzitutto prendersi cura del terreno.
Sonia Bertinat
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