[Tweet “”Osserviamo troppo la porta chiusa alle spalle tanto da non vedere quelle che si stanno aprendo per noi.”]
Ed è proprio la sensazione che ogni tanto ho nella vita. Magari non osserviamo la porta chiusa alle spalle ma quella di fronte a noi attraverso la quale pensiamo di dover passare come unica possibilità.
Stasera un’immagine analoga mi si è accesa nella mente in uno scambio sui social.
L’immagine è questa:
Un grande bosco con tanti alberi, io appesa ad una liana penzolante, rilassata perchè così volevo essere. Il mio sguardo non aveva alcuna direzione, perso nel vuoto. Poi comincio a dondolare e sfioro altre liane finchè una, con una persona sopra mi si para davanti e tira con sè un’altra persona con un’altra Liana. E la serata soporifera finisce in risate e sconcerti attivanti.
E immediatamente vedo il filo rosso che ai miei occhi lega tutto in un senso.
Questo è uno scorcio ludico, per carità, ma mi chiedo “Se non avessi cominciato a dondolare, sarei incappata in quelle liane-persone?”. Ovviamente non posso saperlo.
Però un po’ come per le porte, se non cambiamo il nostro punto d’osservazione, se non ci lasciamo un po’ dondolare lasciando la nostra posizione statica e a volte dolorosa, non è possibile l’incontro ma solo il rimpianto di un incontro che non avviene.
Quante volte in un momento critico della nostra vita, spesso negativo ma non necessariamente, l’immobilismo dello sconforto, del rimpianto, della sfiducia ci impedisce di fare anche solo un minimo movimento. E l’assenza di novità sul nostro cammino fa aumentare quelle sensazioni che rinforzano la nostra staticità.
Il movimento da fare è a volte reale ma a volte è solo metaforico, immaginale, nella nostra mente. Nello scambio di cui sopra è comparso il buco della serratura. Ecco a volte ci ritroviamo a spiare dal buco della serratura un mondo che pensiamo ci sia precluso solo perchè non abbiamo provato a toccare la maniglia di una porta che, magari aperta o di cui abbiamo le chiavi, ci permetterebbe di entrare nel posto agognato.
Lo chiamiamo destino, sfortuna, meschinità subita.
Il filo rosso della mia giornata parte da una recita di bambini in cui la protagonista di 10 anni recita con la febbre pur di partecipare. Una recita che parla di cibo, di necessità di essere nutriti tutti a sufficienza per poter avere dignità. Un nutrimento che è alimentare ma anche relazionale, di solidarietà. Una recita in cui si parla di sogni, del loro significato prospettico, del messaggio che ci possono dare sulla strada migliore da intraprendere per affrontare meglio la nostra vita.
Incontra poi, in un assolato pomeriggio, l’inizio di un libro comprato da tempo e mai letto che nelle prime pagine parla di un mondo in crisi in cui inscrivere le crisi individuali, di un mondo che non va avanti e in cui siamo bloccati, di un passato ottimistico contrapposto a un presente pessimistico (e si afferma che non era reale (giustificato) il primo come non lo è il secondo). Posizioni assolute in cui si stagna seguendo l’onda, facendosene trasportare.
Riprendo il filo rosso che si intreccia nell’accogliere uno sfogo di rabbia telefonico di chi ha visto un quadro di valore, giudicato brutto da altri, ridipinto da mani affrettate per renderlo più apprezzabile. Il valore dove sta? La bellezza estetica è un valore? E’ possibile cambiare la realtà delle cose passandole sopra una mano di pittura più allettante? E cosa ce ne facciamo di quello che occultiamo o che viene violentemente occultato da altri?
Riusciamo a fermarci sul senso di quello che ricerchiamo in un oggetto, un’esperienza, una persona? O per paura evitiamo di affrontare quella ricerca o la aggiriamo saltando il passaggio.
E qui arriva il mio filo, da dove ho cominciato. In uno scambio nato da una perplessità sul non senso delle ricerche altrui che conducono in modo incomprensibile al nostro mondo. E ci chiediamo che cosa abbiano a che fare con noi.
Sono abituata per deformazione professionale e per indole a cogliere i legami che collegano le diverse esperienze e i diversi momenti che costellano la nostra esistenza.
Spesso però quei legami che scivolano armoniosi come un passaggio da una liana all’altra ci sembrano interrotti. Ci sembra che nulla ci sia più davanti a noi per appigliarsi. Ma forse è perchè guardiamo solo avanti, nella fretta moderna di fare tutto subito. Magari gli appigli sono a lato o anche leggermente dietro di noi perchè dobbiamo recuperare qualcosa che ci serve per andare avanti.
[Tweet “Perchè bisogna essere attrezzati anche per creare l’incontro. Perchè l’incontro va creato. Dentro di noi innanzitutto.”]
Sonia Bertinat
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