Quando presi la patente, ormai tanti anni fa, cominciai piano piano ad avventurarmi nel mondo.
Tutto nuovo, mille emozioni, l’indipendenza. E anche la famigerata testa fra le nuvole da diciottenne.
Ai tempi non esistevano i navigatori, in realtà non avevo nemmeno il cellulare per cui per orientarci dovevamo affidarci alla segnaletica stradale, alla memoria o abitudine o alle cartine stradali.
Per aiutarmi mio padre mi disse una cosa che mi è rimasta impressa: “Se ti perdi, segui il Monviso e ritrovi la strada di casa”.
In effetti non è difficile notare la montagna che spicca sulle altre e che mi accompagna quasi fino a casa ancor oggi.
Ma il ricordo di questo aneddoto mi ha fatto pensare a quanto sono importanti i punti di riferimento nella vita, non solo durante la crescita quando meteforicamente o meno ci si immerge nell’indipendenza e nel mondo. I punti di riferimento nella vita, come i punti di riferimento geografici, ci servono per orientarci, per ritrovare la strada “di casa”, per tornare a noi.
Il bambino nelle prime esplorazioni indipendenti (viaggi lunghissimi per lui) deve trovare, per cementificare la fiducia, un punto di riferimento fisso in chi si occupa di lui, il caregiver. Una figura che ritrova sempre ogni volta che ritorna dalle sue peregrinazioni e che gli fornisce il senso della stabilità.
[Tweet “Ma non solo nelle fasi della crescita abbiamo bisogno di punti di riferimento”]. Crescendo la capacità di orientarsi diventa, possiamo dire, duplice: nel mondo e dentro di noi.Quante volte sentiamo dire che “ci si sente persi” di fronte ad uno scoramento, un’evento luttuoso che intervenendo fortemente nella nostra vita la destabilizza.
A quel punto è necessario ricentrarsi, e se i punti di riferimento esterni vengono meno, allora è più che mai necessario trovarli in sé equilibrandoci attorno al nostro baricentro.
Spesso questo vacilla quando lo abbiamo curato poco, quando non ci fidiamo della nostra tenuta e tendiamo ad appoggiarci troppo agli altri, per abitudine, per comodità o per una difficoltà.
Appoggiarsi agli altri spesso è funzionale; è negativo se diventa un “effetto gruccia”, per cui noi diventiamo solo un vestito svuotato dal nostro essere che si sorregge solo grazie alla gruccia (l’altro).
Se questa gruccia viene a mancare, noi crolliamo, inesorabilmente. Perché magari per troppo tempo abbiamo rinunciato a trovare un punto di riferimento anche in noi stessi e il nostro baricentro si è sbilanciato troppo.
I nostri punti di riferimento interiori, puntelli del nostro baricentro emotivo, sono costituiti dalle nostre esperienze, i nostri ricordi, la nostra identità.
Quando il nostro baricentro viene destabilizzato, e non troviamo in noi le risorse per riequilibrarlo, allora è necessario un aiuto esterno che ci permetta di ritrovarlo. Perché solo rafforzando noi stessi possiamo affrontare le avversità della vita.
Fonte immagine in evidenza: http://www.freeforumzone.com/discussione.aspx?idd=10063529&p=30
Sonia Bertinat
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