Prendere in mano la matita e cominciare a disegnare la nostra vita è l’unico modo per evitare che siano altri a farlo per noi.
Ho da poco finito di leggere l’ultimo libro di Roberta Marasco, “Lezioni di disegno“, l’ho divorato.
Conosco Roberta virtualmente da un po’ di tempo grazie al suo blog “Rosa per Caso” e al contatto su Facebook e questo è ciò che amo di internet e dei social: potermi connettere con persone valide e interessanti che magari mai avrei incrociato.
Ma torniamo al libro e alle suggestioni che ha suscitato in me. Non scriverò la trama o spoiler vari ma per chi non lo ha letto ancora questo post potrebbe togliere un po’ alla lettura.
Il femminile
Quello che mi ha colpito fin da subito è stato l’universo femminile protagonista di un libro che si muove molto su dimensioni patriarcali a livello culturale e sociale: molto nel passato di Gloria (la mamma), abbastanza nel presente delle tre figlie (in particolare Anna).
Anna portava la stanchezza addosso come una medaglia al valore.
Un femminile che cerca una sua collocazione, un suo spazio per esprimersi e vivere nonostante i limiti imposti dall’esterno.
Un femminile a volte bloccato, a volte estremamente coraggioso e battagliero pur sotto l’apparente accondiscendenza e sottomissione. Un femminile che non sa liberarsi delle molecole di educazione e storia e rivive le storie vissute senza potersene svincolare.
Un femminile che deve muoversi in contesti dittatoriali o post dittatoriali per poter essere se stesso e non come gli altri lo vorrebbero. Un femminile che si confronta con una sola possibilità di maschile, dittatoriale, anaffettivo, violento. Laddove il maschile più umano, più amorevole più incarnato, viene messo ai margini della società, imprigionato, vessato, tradito e rifiutato.
In questi giorni, i molti articoli sulla cosiddetta “prova costume” declinata solo al femminile sono un esempio di come le dittature sul corpo delle donne sono ancora in atto.
Il passato
A volte crediamo di aver fallito, ma in realtà se non siamo andati avanti è solo perché sapevamo che ci mancava qualcosa, che qualcosa era rimasto nel passato.
Ricucire il proprio passato in una trama uniforme, in un disegno omogeneo è uno dei passi per essere pienamente se stessi. Quando ignoriamo grosse fette del nostro passato anche i ricordi si conformano a questi buchi. Spesso avviene quando si è subito dei traumi per cui asportiamo inconsapevolmente pezzi di vita e di storia che ci impediscono di procedere, di costruire qualcosa di solido come capita a Julia. Julia che è portatrice di un segreto ben custodito dalla madre e ne è portatrice fin dal nome, un concentrato di investimenti e ribellioni che si riversano sulla sua identità incespicante.
Spesso i ricordi si costruiscono più su ciò che ci viene detto che non su ciò che abbiamo osservato e che troppo si discostava dalla narrazione che ci veniva fatta degli eventi.
“Papà si è sempre occupato di voi”
Era il mantra usato da Gloria per dare alle figlie una immagine più accettabile del padre. Una immagine che in realtà era giunta loro in tutta la sua crudezza ma che il mantra copriva come un velo. Che fosse un modo con cui Gloria magari cercava di proteggere le figlie dalle sue scelte, dalla sua insoddisfazione, dalla sua vita parallela preclusa al mondo famigliare? O forse solo per proteggere se stessa dall’esplosivo incontro tra le due parti.
In realtà non dovremmo stare ad ascoltare quello che dicono i genitori, lo dicono soltanto perché cercano di convincere se stessi. È quello che non dicono che è davvero importante.
Le ombre
Tutti noi e tutte le cose possiedono un lato ombra che contiene le cose che meno abbiamo piacere di incontrare. Sono le ombre più che le zone illuminate a dire chi realmente siamo?
L’ombra si concretizza nel libro attraverso l’impossibilità di Julia di riprendere a disegnare. Di ripartire dagli insegnamenti della madre su come approcciarsi ad un disegno.
E Julia, quando inizia a disegnare vede solo un’ombra che si allarga sulla carta e copre le forme potenziali che il disegno, la sua vita, potrebbero assumere.
Guardare quell’ombra senza voltarsi per paura, senza ignorarla come se non importasse è un passo essenziale per sottrarle il potere che ha sulla nostra vita e assumere il controllo su di essa, e sul dolore che porta con sé. Solo così potrà entrare a fare parte della nostra narrazione personale e permetterci di proseguire la nostra vita in modo più completo.
Non accogliere le ombre rischia di far vivere due parti separate che non dialogano tra di loro o porta a sceglierne ed esponenzializzarne solo una vedendo l’altra con sdegno nelle altre persone.
Le brave ragazze perbene hanno un solo modo per fare quello che vogliono. Diventare cattive ragazze.
Gli estremi radicali non si parlano, solo se si aggiungono sfumature nel mezzo è possibile farli comunicare e trovare un modo di farli convivere.
Il disegno
Il disegno assume nel libro diversi valori.
E’ lezione di vita, tramandata dalla madre alla figlia
Devi osare, Julia, esci dai margini, non lasciare che ti frenino. Il contorno è un’astrazione, non ne hai bisogno, fidati di quello che vedi tu, non di quello che vedono gli altri.
E’ espressione personale e modo per comunicare il proprio essere, nonché uno strumento per lasciare un segno nel mondo, un segno della storia nascosta, mai raccontata,che viene narrata a Giulia attraverso una copertina di un disco e i murales sparsi per la città. Un modo per dire “io c’ero, io ho vissuto”. Un segno che nemmeno le foto che diventano macchie d’olio su una piatta superficie d’acqua riescono ad esprimere al meglio. Perché le foto sono fatte da altri, il tratto è personale.
Devi fare tre passi indietro, per vedere il tuo disegno nell’insieme, e poi farne il doppio in avanti, per entrarci. Finché resti a guardarlo da fuori non sarà mai il tuo, sarà sempre quello di qualcun altro.
Prendere in mano la matita e cominciare a tracciare le proprie linee sulla carta affinché non siano altri a farlo. Prendere in mano la matita significa prendere in mano la propria vita, fino a quel momento portata in giro da altri in una traccia confusa e caotica come i continui spostamenti di residenza di Julia.
Conclusione
Perché ritrovarsi significava anche ritrovare i torti e gli sbagli, tutte le occasioni mancate e l’eco del tempo sprecato.
A volte è necessario fermare la trottola impazzita che è diventata la nostra vita. Fermarsi e guardare. Trovare il coraggio di affrontare scale e aprire porte. Perché quelle scale e quelle porte sono comunque dentro di noi anche se non le visitiamo. Solo confrontandoci con loro e con le emozioni che portano con sé potremo recuperare pezzi del nostro passato e ricominciare a mettere mano al disegno della nostra vita.
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Sonia Bertinat
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