Oggi vado col classico amarcord.
Ai mie tempi (incipit molto vicino al “C’era una volta” delle fiabe) e con ciò intendo gli anni ’80, quando si conosceva qualcuno di nuovo, si chiedeva il numero di telefono… Il fisso ovviamente.
Parentesi.
Il telefono fisso era spesso collocato in luoghi strategici: il corridoio era quello che riservava maggior riservatezza perché luogo di passaggio e in quanto tale destava sospetto spionistico ogni sosta altrui superiore ai 30 secondi.
Ore e ore al telefono con rischio di paresi temporanee del braccio fino all’urlo genitoriale che ti chiamava all’ordine per i costi. Al che scendevi in cabina con… Gettoni? Ah antichi! Con la scheda!
Chiusa parentesi.
Se si abitava vicino, l’indirizzo di casa, o ci si trovava in giro in luoghi predefiniti, per interi pomeriggi a bighellonare.
Era ancora d’uso, seppur già in via di estinzione causa telefono, lo scambio epistolare.
Parentesi
Le missive manoscritte venivano riservate agli scambi sottobanco con i compagni. Contenevano pettegolezzi, confidenze, suggerimenti per i compiti in classe.
Erano gli antesignani degli sms, per capirsi.
Brevi e subdoli passaggi dove la rete erano le mani dei compagni che ci dividevano dal destinatario della missiva.
Chiusa parentesi.
Nessuno aveva il cellulare.
Nessuno aveva una mail né internet in casa.
Pochissimi avevano un pc.
Macchine fotografiche col rullino.
Telecamere che pesavano più di un tir.
Ho comprato il primo cellulare a ridosso degli anni 2000 e dei miei 30 anni.
Un avveniristico Nokia mono band ma già Gsm, con le suonerie e cover cambiabili e l’irrinunciabile Snake!
Il mio primo pc arrivó due anni prima ma per pochi mesi perché preso in affitto per scrivere la tesi.
Un IBM montante Windows 3.1 e Winword 2.0.
Mi appassionai subito a quel trabiccolo in bianco e nero e capii che prima o poi ne avrei dovuto avere uno. Molto poi che prima l’ebbi.
La mia prima connessione arrivò un po’ più tardi, l’ADSL ancor di più.
Come tutti cominciai quell’accumulo compulsivo, che il nuovo mezzo permetteva, di qualunque cosa si potesse importare dal web.
Di lì capii che la mia passione aumentava e si annidava e rinfocolava nella risoluzione di problemi informatici di cui, a livello teorico non sapevo assolutamente nulla.
Animata dalla convinzione, attinta non so dove, che non esisteva il tasto di autodistruzione ho fatto grossi macelli ma la loro risoluzione mi rinvigoriva sempre di più.
Molti anni dopo, davvero molti, mi ritrovo con la stessa passione, con qualche conoscenza in più, e con la stessa tendenza a fare danni, danni che gli amati blogger “tecnologici” mi aiutano a risolvere.
Ho provato Facebook, l’ho abbandonato, l’ho ripreso, ho esplorato ogni nuova risorsa che il web mi proponeva in una sorta di iperfagia tecnologica.
Ed eccomi qui.
Dopo tanta strada, tante prove ed errori, ed un’andatura da motore Diesel più che Turbo.
Eccomi alla tappa 2.0.
Ora, quando faccio nuove conoscenze, non chiedo come prima cosa il telefono.
No, come se fossi arrivata al passo coi tempi, chiedo “Sei su Facebook?”
E un dubbio mi coglie… E se fossi indietro di nuovo?
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Sonia Bertinat
Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.
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