La teoria
Lo psicodramma analitico individuativo (PEI) è una psicoterapia di gruppo che prende spunto dal modello moreniano discostandosene ma cercando di coniugarvi aspetti teorici della teoria junghiana e dei gruppi.
“Ciò che lo contraddistingue da altre tecniche analitiche e psicoterapeutiche basate esclusivamente sulla comunicazione verbale è l’effettiva presentificazione degli eventi significativi nel gioco drammatico. … rappresentare la scena evocata con tutte le sue componenti verbali, mimiche, gestuali, di struttura spaziale e temporale, sì da osservarla attraverso la molteplicità di angoli visuali generati dalla messa in scena di più parti, i personaggi appunto dei quali il protagonista potrà, in successione, assumere il ruolo.” (W. Druetta a cura di, Ci giochiamo la formazione. Atti di una scuola di formazione in psicodramma. Upsel Editore, Torino, 1995, p. 23)
Le scene si svolgono in una sequenza che mira ad esplorare i collegamenti che legano il problema presentato con il mondo interno e con le storie passate e presenti e le relazioni interpersonali: il triangolo teorizzato da Giulio Gasca.
“Così va letto lo schema: il vertice superiore rappresenta le dinamiche di gruppo che, in un gruppo di psicodramma, possono anche venir viste come i ruoli che ciascun membro assume in relazione a quelli che attribuisce agli altri. Tali ruoli si esplicitano sia nell’interazione diretta, sia con il presentarsi di ciascuno, raccontando e drammatizzando specifici episodi della propria vita, sia ancora con lo stile con cui ognuno impersona i ruoli che viene chiamato a rappresentare nelle scene portate dagli altri partecipanti.
Il vertice inferiore destro rappresenta i ruoli che ciascun membro ha avuto nella sua storia passata o che hanno avuto persone per lui significative. Le frecce che uniscono i due vertici rappresentano rispettivamente lo strutturarsi dei ruoli assunti qui ed ora in gruppo col sommarsi, fondersi e modularsi, per essere adeguate alle nuove situazioni, delle esperienze passate, e il riemergere di ricordi attivati dalle particolari dinamiche del gruppo terapeutico.
Il vertice inferiore sinistro si riferisce ai ruoli intrapsichici (funzioni, modelli interiori, complessi autonomi) spesso rappresentati dai personaggi dei sogni, delle fantasie e dei deliri. Tali nostri ruoli interni strutturano il mondo interiore, dando un senso al caotico fluire di rappresentazioni, immagini e impulsi, allo stesso modo in cui i ruoli esterni strutturano i percetti del mondo circostante in una realtà, dotata di significato e costituita da relazioni interpersonali.” da “Lo psicodramma analitico nella cura delle psicosi schizofreniche Ora (freccie a doppio senso dal lato inferiore) tali parti interiori si costituiscono prendendo a modello particolari aspetti di persone incontrate nel mondo esterno e, a loro volta, attraverso un processo di proiezioni e assimilazione, influenzano il modo in cui vediamo tali persone.
La stessa relazione infine vi è (come indicato dallo schema) tra ruoli interni attivati dalla dinamica del gruppo in ciascun membro e ruoli assunti/attribuiti di volta in volta nel gruppo stesso.” di Giulio Gasca (http://www.psychomedia.it/pm/grpther/psdrm/gasca1.htm)
La scena giocata dal protagonista trae spunto da episodi di vita passati, sogni, o, di rado da episodi del gruppo. L’assunzione di ruolo e soprattutto il cambio di ruolo ed il susseguirsi delle scene permettono l’esplorazione e l’elaborazione delle nostre parti e dei nostri ruoli interni (il nostro inconscio) in un costante, dinamico e alternante passaggio tra il qui ed ora e il là e allora, nonché un passaggio attraverso itre vertici descritti. Questo permette di comprendere non solo razionalmente , il ruolo che si gioca e si è giocato, i ruoli che si attribuiscono proiettivamente agli altri (riappropriandosene e rivivendoli) e i ruoli che ci vengono attribuiti dagli altri nel momento in cui non siamo protagonisti della scena ma attori di quella altrui. Questo permette di dare un senso non solo ai propri agiti ma anche ai moti interiori ed alle relazioni tra le nostre diverse parti interne (dagli archetipi per usare una terminologia junghiana, ai ruoli per usare la terminologia del PAI) che sperimentiamo sia in noi che proiettate negli altri spesso senza consapevolezza ma che, soprattutto, spesso non dialogano creando disarmonie psichiche ed emotive se non veri e propri conflitti intrapsichici. In un’intervista, Giulio Gasca afferma “Lo psicodramma, infatti, considera ogni individuo come un insieme di personalità, collegate ma indipendenti tra loro: alcune le riconosciamo (tutti sappiamo dare una definizione del nostro carattere). Altre, invece, ci sembrano estranee, eppure sono nascoste dentro di noi. Lo psicodramma aiuta a tirarle fuori proprio tutte” (http://digilander.libero.it/psychoplanet/terapie/depressione/gasca.htm)
Conoscere, sperimentare, rivivere queste spinte interne permette di prendere coscienza dei moventi del nostro agire portando la luce della consapevolezza nelle ombre del nostro mondo interno.
Il setting
Lo spazio scenico moreniano diventa spazio di terapia, il teatro con palcoscenico diventa una stanza con sedie poste in circolo. Lo spazio scenico da frontale diventa quindi circolare e delimitato nello spazio.
All’interno di questo spazio scenico, il terapeuta fa “giocare” (mettere in scena) uno dei partecipanti del gruppo che diventa il protagonista delle scene che si susseguono. I restanti partecipanti, a scelta del protagonista, diventano attori della sua scena con parti definite dal protagonista stesso con cui effettuerà poi i cambi di ruolo.
Il sentire individuale, in un secondo tempo, di un attore della scena, nel momento di condivisione che segue la sequenza scenica, può dare spunto ad una sequenza scenica successiva risolvendosi in un fil rouge che darà senso non solo alle esperienze individuali, ma alle dinamiche ed al percorso del gruppo stesso.
Il gruppo terapeutico si riduce a 8-12 persone. Le sedute sono settimanali della durata indicativa di un anno per quanto riguarda la risoluzione dei problemi e possono proseguire per approfondire una miglio conoscenza di sé e delle proprie parti che non sono necessariamente vissute come problematiche.
Gli obiettivi terapeutici
Lo scopo del PEI è quello di stimolare la mobilità psichica delle nostre diverse parti, la consapevolezza di motivazioni e radici che stanno alla base di comportamenti, relazioni, ridondanze attuali e, attraverso la possibilità di cambiare la prospettiva attraverso il cambio di ruolo, la possibilità di integrare nuovi punti di vista che permettono non solo il cambiamento ma cambiando il nostro modo di leggere il mondo, permettono vere e proprie aperture prospettiche nel nostro futuro.
Nuove lenti vedono nuovi spazi.
Sonia Bertinat
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