Il caso Paciock: la nostra autorealizzazione

Neville Paciock, personaggio della saga di Harry Potter, è l’alter ego del protagonista. Sbadato, poco sveglio, pavido. Ma la sua storia è molto simile a quella di Harry. Anche i suoi genitori sono stati torturati fino alla pazzia (uccisi nel film) dal cattivo della situazione, Bellatrix Lestrange, e cresce con una nonna svalutante. Come gli zii di Harry. E la profezia che parla del predestinato può applicarsi ad entrambi. Ma Lord Voldemort decide che questo possa essere solo Harry Potter.

Neville scivola nell’ombra dei propri dubbi, della bassa autostima, della diffidenza nelle proprie capacità a cui spesso si rassegna come ad una inesorabile condanna.

Harry a sua volta invece, introietta il ruolo del predestinato, le aspettative altrui lo rinforzano e gli fanno credere nelle sue potenzialità che riesce a mettere da subito in campo.

Ma quando le similitudini cominciano ad emergere ci si comincia a chiedere “Ma chi era il vero predestinato?” Abbiamo seguito un eroe salvifico o solo un eroe costruito lasciando da parte il vero eroe predestinato? Ma non è importante. Entrambi sono ingabbiati in una proiezione altrui a cui cercano di rispondere al meglio. Ed entrambi devono scoprire la loro vera personalità.

In questi giorni ho letto due post, che vi consiglio. che parlano di ambizioni sopite, da ritrovare sotto le coltri del si deve o delle imposizioni altrui, anche quando fatto in buona fede, per poter raggiungere una autentica autorealizzazione. Uno di Monia Papa e uno di Andrea Girardi.

Ma perchè è così difficile seguire le nostre ambizioni?

La scelta fra l’eletto e il mediocre può riferirsi alle relazioni prescelte, situazioni  lavorative o qualsiasi altra condizione di vita può presentarsi; una situazione o una persona che emerge come vincente e l’altra per contraltare che emerge con perdente. E spesso sono quelle vincenti ad attrarci.

Quanto riusciamo a vedere e credere nelle nostre potenzialità senza l’apporto di una validazione esterna? Quanto i rimandi di inettitudine o di incapacità che riceviamo rimangono dentro di noi come un tarlo che rosicchia lentamente la nostra autostima?

Le investiture esterne sia positive che negative ci condizionano. Inevitabilmente. Sono ingredienti che si mischiano ai nostri nel formare la ricetta della nostra personalità. E pesano in entrambi i casi, proprio perché sono elementi estranei a noi che ci vincolano e che limitano l’espressione delle nostre potenzialità, anche quando potrebbero combaciare con quelle aspettative. E’ come se vivessimo la vita di altri.

Questo ad esempio accade quando i genitori proiettano sui figli i loro desideri di vita inespressi. Questi vengono investiti di aspettative, desideri che non sgorgano da loro in quanto individui a sé ma diventano propaggini dei genitori. Apprezzati se rispondono al mandato genitoriale, biasimati se lo disattendono.

Spesso, sono i miti famigliari, che travalicano le generazioni, ad indicarci l’unica strada che possiamo percorrere e che non ci permette di vederne altre.

Ma noi stessi anche da adulti spesso ci carichiamo di identificazioni esterne per realizzare noi stessi. I modelli che diventano sostituti di noi.

Nella ricerca di noi stessi e delle nostre reali aspirazioni, quando bloccate, è fondamentale liberarsi dei pesi che altri hanno posto in noi.

Questo dobbiamo a noi stessi. E non pensare mai “ah ormai, mica mi metto a fare (aggiungete voi quello che preferite)”. E’ vero che a volte non possiamo permetterci di stravolgere la nostra vita in modo radicale ma ciò non vuol dire che non possiamo aprire squarci di respiro alle parti di noi che stanno nascoste e che chiedono solo un po’ di attenzione.

D’altronde anche il pavido Paciock, quando ha cominciato a credere in sé, liberandosi delle proiezione esterne, riesce a dare il colpo finale al gran cattivo uccidendo il serpente. E con quel gesto ha liberato sé stesso completamente.

E voi? Avete realizzato i veri voi stessi? Cosa vi ha permesso di credere in voi?

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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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Comments 5

  1. La parte difficile di solito è scoprire cosa si vuole realmente. Cosa ci fa battere il cuore e ci viene facile. Realizzare sé stessi superato questo scoglio diviene relativamente semplice perché è seguire le proprie pulsioni/passioni/talenti, e quando fai qualcosa che non ti pesa e ti viene (apparentemente) facile stai realizzando quella parte di te sopita. Il problema è proprio scoprire quale sia quella parte di te. (onoratissimo della citazione e ancora di più per la compagnia)

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    Citazione meritata perché è grazie a voi se ho riesumato la bozza 🙂
    Concordo in pieno sulla difficoltà di riconoscerle come parte più difficile. Spesso ci si complica ancora di più le cose però. Sentiamo il cuore che batte facendo una cosa, ma lo liquidiamo (neghiamo) come importante perchè giudicato poco attinente alla nostra vita, poco dignitoso. E, se va bene, coltiviamo la passione in solitudine, senza pubblicizzarla troppo. Spesso, la rispingiamo giù non appena affiora alla coscienza. Facendoci un gran danno.
    Io da tempo ho deciso che, pur dovendo mantenere il lavoro principale, che mi dà soddisfazione ma non satura, non gli permetto di occupare tutto il mio tempo. Ed esploro. Seguo ciò che sento mi fa brillare gli occhi. Piedi che sfiorano il terreno ma braccia in alto per volare.

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