solitudine

Soli con se stessi: la solitudine tra bisogno e imposizione

La solitudine è un tema che ieri ho incontrato un po’ di volte nei post che ho letto girovagando in rete. E quando questo capita mi piace seguire il filo delle connessioni che ne scaturiscono.

La solitudine è un caleidoscopio che a seconda di come lo muovi, lo guardi ci mostra una sua faccia diversa.

la capacità di avvertire la solitudine muta con la situazione contingente come se il nostro apparato psichico ne modificasse la soglia di percezione in base alle circostanze (Fonte)

Uno dei post che ho letto ne evidenziava le caratteristiche positive, salutari, rigenerative. Siamo oggi perennemente iperconnessi col mondo, anche se siamo soli a casa e questo fa sì che si sia perso questo aspetto in cui si può riprendere contatto con sé stessi, con la propria interiorità e i propri rumori e suoni interiori.

Una recente serie di ricerche dell’Università della Virginia (qui l’originale) ha voluto verificare quanto le persone riuscivano a stare a contatto coi propri soli pensieri per un periodo non superiore ai 15 minuti. In molti hanno definito l’esperienza molto difficile.

Eppure la psicologia ci dice quanto sia importante sviluppare questa capacità di immersione in se stessi. Winnicot, in particolare, ci dice come la capacità di stare soli sia uno dei fattori principali per poter stare bene con gli altri e come sia un’indice di sviluppo personale positivo. Perché star bene da soli implica l’aver sviluppato un senso di completezza interiore che non ci fa sentire mancanti di qualcosa. Lo lega, altresì, alla capacità di tollerare il silenzio esterno e in senso stretto può collegarsi al silenzio nella terapia.

Un altro articolo molto interessante sottolinea il valore del silenzio come medium in cui riuscire a contattare la propria interiorità.

Ma sto divagando troppo.

Perché se è vero che la capacità di star soli con se stessi è un buon indicatore del nostro equilibrio personale, non si può negare che da “animali sociali” quali siamo, abbiamo bisogno del contatto con gli altri. Un contatto che dovrebbe arricchirci e non riempire dei vuoti. Ma ne abbiamo bisogno.

Ed è in certi momenti della vita in cui l’assenza di una rete sociale fa sentire la presenza ingombrante di una solitudine non scelta che può minare anche il nucleo di sicurezza interiore che abbiamo sviluppato.

Pensiamo all’adolescenza  all’importanza del gruppo come estensione e validazione di sé.

Pensiamo agli anziani e alle persone malate.

In questo periodo dell’anno, come in tutti i periodi di festività, di aggregazione voluta o indotta l’essere soli pesa di più. Anche se di solito la solitudine la viviamo bene.

Un altro articolo che ho letto e che mi ha emozionato è quello che racconta di un asilo in una casa di riposo: la solitudine relazionale, il senso di non utilità sociale colmato dall’interazione coi bambini.

E come non segnalare l‘iniziativa torinese dei Babbi Natale all’Ospedale Infantile Regina Margherita!

Ho lavorato per anni con pazienti psichiatrici e so bene quanto siano difficili questi periodi che, interrompendo la routine anche relazionale (gli operatori vanno in ferie), sanciscono ancor di più il loro non essere pienamente integrati nel gruppo sociale o famigliare. La cosiddetta “normalità” che pesa in quanto assenza. Quando lavoravo in comunità ho sempre lavorato per scelta il giorno di Natale, e non me ne sono mai pentita.

Non è in gioco in questo caso tanto la difficoltà a stare con se stessi quanto il sentimento di esclusione da qualcosa. Un rimanere dietro ai vetri ad osservare il mondo che (apparentemente) festeggia ed è felice. Il non poter essere attori sociali di questa ritualità.

L’essere soli diventa un qualcosa di imbarazzante, non dicibile. L’essere soli può diventare quasi una colpa per non essere sufficientemente buoni per stare con gli altri.

E allora può capitare che ci si inventi un impegno pur di non dire che non si ha nessuno da cui andare. O ce lo si inventi per giustificare il proprio desiderio di non andare da nessuna parte per starsene da soli.

[Tweet “Si sente di dover giustificare l’essere soli come se fosse una macchia da lavare.”]

Spesso la capacità di stare con gli altri, e non voglio certo minimizzarne l’importanza, viene considerata prioritaria, migliore, della capacità di stare soli.

Come sempre le polarizzazioni sono rischiose e le sfumature sono fondamentali. Ma dobbiamo rimanere gli attori principali della nostra vita, delle nostre necessità, per quanto possibile. E non farci influenzare da quella “norma” che vorrebbe imporci il nostro sentire.

L’essere in relazione è un concetto molto più sfumato e ampio dello stare con.

 

Foto: Martin Stranka

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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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