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Le parole delle dipendenze

Sono sempre molto attenta ed interessate alle parole che usiamo per descrivere la nostra esperienza, soprattutto quando queste parole nascono da noi.

Ci sono però parole che trascendono l’individuo e diventano quasi dei mantra che caratterizzano un modo di essere o in questo caso una patologia in cui incappiamo.

Dopo anni di lavoro nelle dipendenze queste parole le ho sentite molte volte, sempre uguali, sempre pronunciate con la stessa convinzione che, “sì lo dicono tutti, ma per me è vero”. Sono parole di negazione che ci illudono di mantenere un controllo quando controllo non c’è o per giustificare il proprio comportamento.

Vediamole insieme:

Le parole nella tossicodipendenza

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Il mantra é “Smetto quando voglio”. L’idea che si possa controllare la dipendenza, soprattutto in presenza di una sostanza, è la maggior alleata di una addiction. Perché ci si crede davvero, non è una scusa. Perché sì, so che molti non ce la fanno, ma io ho più forza di volontà e poi non sono così “infognato”.

Le parole nell’alcolismo

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“Sono solo due bicchieri a pasto”. Bicchieri da mezzo litro, magari. Oppure è anche vero, ma poi c’è la colazione “corretta”, l’aperitivo, la “merenda”, e così via. Oppure, nel caso del binge drinking (più comune nei giovani), il “bevo solo nei week end”. Per non dimenticare il classico “io lo reggo bene”. Tu magari sì, il tuo fegato no.

Le parole nel disturbo di gioco d’azzardo

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Il gioco d’azzardo è più subdolo perché non c’è una sostanza. Ma le parole usate non differiscono molto dalle dipendenze da sostanze. “Non  vado al casinò”, “Solo qualche gratta e vinci” (da 20€ tutti i giorni), “Metto 1€ ogni tanto” (ogni minuto circa). Per poi i classici “Non c’è problema, smetto senza difficoltà”.

Le parole nella dipendenza digitale

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“Non sto molto collegato, solo 5 minuti” e la notte passa. “Devo collegarmi se no il gioco va avanti e mi superano”. Qui, come nel gioco d’azzardo è il tempo a perdere il suo significato e a farci perdere il controllo oltre a rimanere come pensiero pervasivo anche se non stiamo attivamente giocando/navigando.

Le parole nella dipendenza affettiva

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Beckmann, Max
“Man and Woman”
1932

“Io lo salverò” (il partner) oppure “Se non mi comporto più così, lui sicuramente sarà meglio, farà meglio”. E invece sono solo le frasi che giustificano la mia difficoltà ad interrompere una relazione disfunzionale.

Le parole nello shopping compulsivo

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“Ne avevo proprio bisogno”. Certo ne ho altri, ma di colore/forma/funzione diversi. Strettamente correlato all’Accumulo compulsivo, spesso è correlato all’acquisto senza motivo, senza desiderio, di oggetti non pensati ma acquistati per il benessere che dà l’atto di acquistare.

Conclusioni

Le parole che usiamo per definire la nostra esperienza sono importanti perché in parte la costruiscono e ci costruiscono. Oltre a definirci anche se in modo mimetico. Nel momento in cui ci affidiamo a queste parole ci crediamo, anche se non ci crediamo quando le sentiamo proferire da altri. Perché noi siamo diversi. Il lavoro più difficile con le dipendenze è proprio quello di scardinare queste frasi che formano una corazza contro la consapevolezza. Perché alla fine, a nessuno piace pensarsi dipendente, per cui è immediata la costruzione della corazza del “Io no”. Certo è il primo passo. Perché spesso anche dopo aver raggiunto la consapevolezza, i benefici della dipendenza rimangono maggiori rispetto allo smettere. Però è un primo passo, necessario, imprescindibile senza il quale non si ottiene un campo fertile per poter cominciare a lavorare sulle motivazioni sottostanti, le vere parole, individuali, che raccontano la dipendenza in modo diverso da persona a persona.

 

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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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