Cosa intendiamo quando diciamo “donna”?

Nell’ultimo periodo si è riacceso il dibattito sull’immagine stereotipata della donna nelle pubblicità e nelle comunicazioni mediatiche in generale.

Scintilla proveniente anche dalla presidente della Camera Boldrini che denuncia il ruolo estremamente arretrato e “tradizionale” del ruolo della donna spesso raffigurata dedita alle mansioni domestiche od alla cura della famiglia. Una scintilla che ha riacceso un fuoco mai sopito di indignazione. Un fuoco ben rappresentato dal documentario della Zanardi “Il corpo delle donne“.
Tutto ciò mi fa venire in mente le parole di Nicla Vassallo al Festival della Mente di Sarzana.
Il suo intervento, intitolato “L’invenzione della donna”, è oltremodo attinente a questo argomento.
La Vassallo sostiene infatti che la donna è un’invenzione in quanto con il termine Donna non ci si riferisce ad ogni singolo appartenente al genere femminile con le proprie sfacettature, inclinazioni, desideri, e così via.
No, con il termine Donna si intende una donna idealizzata e per l’appunto in tal modo inventata. Una donna stereotipata a cui vengono attribuiti ruoli sessuali e sociali prefissati con parallele norme psicologiche che indicano come e adeguarsi a tale ideale. La Donna quindi usata come entità assoluta che “rende inspiegabile le singole donne perchè buttate nel calderone di questa immagine colma di stereotipi”.
 
Inutile dire che da questo stereotipi deriva il rischio di una dicotomizzazione molto netta tra, da un lato, “l’UOMO MASCOLINO, oggettivo, appartenente ad un ordine simbolico superiore, visto come attivo e razionale e, dall’altro, la DONNA FEMMINEA, soggettiva, appartenente ad un ordine simbolico inferiore, passiva ed irrazionale”.
 
Nella categoria UOMO, prosegue la Vassallo, si includono tutti gli uomini con le loro singolarità ed identità personali; la DONNA invece, non è presentata come donna singola ma come ideale a cui aspirare. Una donna apprezzata molto per il suo corpo, mostrato o no. Il corpo rappresenta la donna. Sia esso il corpo della donna-madre che il corpo della donna-amante.
“Quando si nega l’identità personale, si nega l’appartenenza al genere umano”.
Ci sono Burqa fatti di veli e burqa sociali con cui vestiamo le nostre donne.
Uno di questi è il concetto che la donna sia “funzionale alla rirpoduzione naturale. Ma la riproduzione naturale non esiste più”. Ci si appella alla tradizione senza pensare che “tradizionale non è sempre sinonimo di buono”. La donna non è materna ed accudente per predisposizione biologica. Attribuire questo ruolo di default alla donna implica ingabbiarla in uno stereotipo in cui non tutte possono identificarsi. Credere e sostenere questo (come ho sentito affermare da un auditore dell’intervento che sosteneva che la donna fosse materna per costituzione) implica ignorare anche la più banale delle cronache che giornalmente ci dimostrano che la donna non sempre nutre in sè un istinto materno dato dall’essere donna. O come ci ricorda la Vassallo, basta pensare a Lucrezia Borgia.
 
Quando ci si sottrae all’ideale di donna perfetta si rischia o si teme di perdere la propria credibilità o, peggio, la propria identità di donna. “Tu non sei la vera donna”, si traduce in “tu non sei umana”.
Rinunciare alla propria identità personale implica rinunciare a sè stessi. Ma implica anche rinunciare a conoscere gli altri se aderiamo solo ad uno stereotipo.
 
Il fenomeno del femminicidio, apice di un ben più grosso iceberg, rischia di far dimenticare ciò che sta sotto, prosegue sempre la Vassallo.
La mistica della femminilità chiede alla donna il ruolo di “donna di famiglia, la WIFE” (come nel film “La donna perfetta“).
Le donne non sono esseri umani per come vengono trattate nel mondo.
Non ci sono differenze sessuali o cognitive, ma di genere culturale.
Si è additato alla Boldrini in molti articoli o commenti, per la sua affermazione, di voler sovvertire a tutti i costi un ordine sociale impedendo alle donne di fare le madri e mogli.
Non penso fosse il suo intento, credo che alla base dell’intervento ci fosse un concetto fondamentale.
La rappresentazione sociale del ruolo incide sull’identità personale ma, se unilaterale, rischia di definire e identificare alla massa come buono e naturale ciò che viene rappresentato e per contraltare, brutto e innaturale ciò che non si vede. Estremizzando ovviamente.
Contamino ancora il mio post con un accenno al tema di Torino Spiritualità di quest’anno “IL VALORE DELLA SCELTA”.
Questo è il punto. Io devo poter scegliere, devo avere davanti a me, rappresentate, più opzioni di scelta, devo credere nel poter scegliere e impostare la mia vita su questa libertà senza il rischio di sentirmi cacciato fuori da una categoria identitaria solo per non aver aderito al canone stereotipato.
Quello a cui si assiste spesso, nel momento in cui si cerca di criticizzare lo status quo, è l’essere accusati di volerlo sovvertire per soppiantarlo con uno status quo opposto ma con le uguali caratteristiche escludenti del precedente. E questo già la direbbe lunga sui principi dello status quo che viene criticizzato.
Il passo che non si riesce a trasmettere è che possono coesistere entrambi permettendo alle persone di avvicinarsi all’uno o all’altro a seconda della propria inclinazione.
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Sonia Bertinat

Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.

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