Uno dei motivi per cui l’omosessualità è stata depatologizzata è che si è visto che molti dei “sintomi psichiatrici” (ansia e depressine in primis) osservati in persone omosessuali non erano causati dall’essere omosessuali ma dall’impatto dell’essere omosessuali con l’omonegatività della società (vedi nota) che spesso viene interiorizzata assumendo su di sè lo stigma.
<<L’identità sessuale, composta di molti livelli (tra cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere),
ci parla dell’affettività delle persone, ovvero del modo specifico che ognuno di noi ha
di relazionarsi affettivamente (quindi anche sessualmente) con l’Altro, che struttura tutto il nostro essere e che prende forma nei tempi dello sviluppo della persona e delle società.
Difatti potremmo dire che il disagio sperimentato da una persona omosessuale o transgender può riguardare entrambi questi “sviluppi”: c’è una forma di disagio non legato specificamente all’orientamento o all’identità di genere “di quella persona lì”, quanto correlato all’oppressione sociale e allo stigma, ovvero al cosiddetto “minority stress”. L’oppressione e lo stigma come indici di una difficoltà delle società e delle comunità a svilupparsi in senso inclusivo
e plurale.
Ci può essere una seconda forma di disagio, più centrata sul singolo, il quale racconta la sua personalissima storia, fatta di contesti, rapporti, situazioni, dinamiche, forme di accudimento e percorsi di crescita assolutamente specifici e a cui l’individuo risponde in modo altrettanto specifico. In tal senso
il disagio può essere legato all’orientamento o all’identità di genere “di quella persona lì”, nel senso del “come” ciascuno vive le dimensioni del bisogno, del desiderio, della dipendenza e dell’autonomia dentro le relazioni (famigliari, amica li, di coppia, di gruppo, ecc). Il disagio legato alla squalifica personale delle parti di sé ci parla della fiducia, delle opportunità e dei limiti che diamo a noi stessi e agli altri, nel cammino mai finito di conoscenza
delSé e dell’Altro.>>
Quando si parla di minority stress si intende”uno stato risultante dall’inferiorità culturalmente stabilita e sanzionata dal gruppo dominante, dal suo impatto sul benessere psicologico e dal successivo adattamento.” Quindi non uno stress acuto e improvviso, ma uno stress sordo e subdolo, quotidiano e pervasivo di cui non ci si rende nemmeno conto coscientemente ma che la nostra mente recepisce e a cui regisce. Diventa uno “stato cronico di allarme”. (Graglia, 2010)
A provocarlo, spesso, non sono gli episodi chiaramente omofobici che si deve affrontare ma tutto quel sottobosco di occultamenti, minimizzazioni, finzioni e menzogne che le persone omosessuali che non sono dichiarate devono affrontare quotidianamente.
Pensate ad esempio, a non poter parlare del vostro partner coi colleghi eterosessuali, quando loro raccontano dei week end in famiglia, quando parlano dei figli “ostentando” senza saperlo in ogni istante la loro eterosessualità.
Pensate al dover affrontare parenti curiosi che chiedono del fidanzato/a, del matrimonio, dei figli.
Pensate non poter avere un supporto intorno a voi, delle persone a cui confidare le nostre difficoltà ma anche le nostre gioie.
Non poter sentirsi liberi di girare mano nella mano con chi si ama, non essere riconosciuti dallo stato come degni di diritti di cui godono anche i criminali.
E si potrebbe andare avanti a lungo.
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Psicologa Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico. Da anni mi occupo di dipendenze da sostanza e comportamentali. In parallelo mi occupo di tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla vita intrapsichica e relazionale delle persone.
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