Questa frase spesso nasconde in realtà un pregiudizio che si vuole negare nello stesso momento in cui la enunciamo, sperando che la sua negazione lo annulli o lo attenui ai nostri e agli altrui occhi.
Il pre-giudizio è una funzione importantissima per la nostra mente. Permette infatti un risparmio energetico e di tempo notevole perchè si configura come una lente, tarata con il tempo e con l’esperienza (fatta o appresa), che ci permette di restringere il campo d’osservazione con cui guardiamo un fenomeno e fa sì che ci si possa fare un’opinione in modo celere, che si possa prendere una decisione in tempi brevi e così via.
Il pre-giudizio è, e deve essere, quindi un agevolatore della conoscenza e del nostro muoverci nel mondo. Ma come le lenti negli occhiali devono essere monitorate e riaddattate ai mutamenti della vista, così la lente del pregiudizio (1), per rimanere funzionale, deve essere sottoposta ad opportune tarature ed aggiornamenti. Rimanere attaccati al nostro pregiudizio, ignorare che ciò che vediamo non entra più in quel campo visivo che la nostra lente mette a fuoco e forzarlo per farlo rientrare, non fa di noi delle persone coerenti ma delle persone ottuse. Cambiare idea non è segno di debolezza, di poca fermezza se attuata nell’ottica di una ritaratura di quella lente con cui osserviamo il fenomeno.
Pensate paradossalmente se provassimo a osservare la terra dallo spazio continuando ad asserire che sia piatta. Sicuramente questo vi fa sorridere, ma non è molto diverso da ciò che facciamo quando il pregiudizio offusca il raziocinio.
Raramente riconosciamo albergare dentro di noi i pregiudizi. Più spesso, con un meccanismo simile alla pagliuzza e la trave, li additiamo negli altri. E lo facciamo con veemenza, lo facciamo colorando di biasimo quel dito puntato. Tutto il nostro disprezzo viene rigurgitato su chi consideriamo portatore di una mentalità ottusa, chiusa, ancorata al passato e poco propensa al progredire del mondo.
Ritarare la lente del pre-giudizio implica innanzitutto riconoscerlo in noi e non proiettarlo sugli altri. Tutti noi nutriamo in un angolino della nostra mente e del nostro cuore un pregiudizio. Negarlo fa si che, come tutti i pensieri negati, agisca in modo inconsulto, al di là del nostro controllo.
Come sempre, non è il pregiudizio esplicitato quello da temere maggiormente. Quello è lì alla luce del sole, lo vediamo, lo affrontiamo, lo aggiriamo.
Quello da temere è il pregiudizio latente, occultato dalla non consapevolezza. E’ da temere perchè può colpirci alle spalle quando meno ce l’aspettiamo. E se siamo onesti con noi stessi, possiamo arrossire e proferirci in scuse. Se invece la capacità di autocritica non ci appartiene, ci appendiamo alla gaffe, all’esternazione facendone baluardo a nostra difesa e attaccando gli altri dicendo che non ci capiscono o ci fraintendono.
Il pregiudizio investe in modo preponderante qualsiasi discussione a tematica LGBT dove i dati forniti in aiuto alla ritaratura non vengono in alcun modo presi in considerazione perchè ci si ostina a continuare a pensare secondo i canoni del pregiudizio. Vedi le opposizioni ai matrimoni (gay) o ancor di più all’omogenitorialità. Di recente mi sono impegnata in una discussione con una persona che asseriva la sua contrarietà per il bene del bambino e, negando il pregiudizio che chiamava col nome di natura o scientificità, non ha preso in considerazione la mole di ricerche che gli ho sottoposto e che rivelano come il bene dei bambini è al sicuro. Esempio della cronaca politica di questi ultimi giorni è la vicenda dell’On Biancofiore che di fronte all’evidenza del suo pregiudizio, estrinsecato in frasi omofobe, prima si appella a personalità influenti per ratificarlo e poi ribalta il discorso accusando un’entità altra, occulta, di malpensamento nei suoi confronti… in questo caso, la famigerata LOBBY GAY (ogni omosessuale si chiede, quando la si nomina, perchè pur essendo così potente secondo i suoi demonizzatori, siamo ancora uno dei paesi più arretrati nei diritti civili e non agisca per risolvere la situazione).
Chiudo la parentesi LGBT, perchè il tema che ha suscitato la mia riflessione odierna è il RAZZISMO.
Pochi di noi ammetterebbero di nutrire in sé sentimenti svalutanti nei confronti di una persona di un colore diverso dal nostro, nei confronti di una popolazione che l’immaginario comune svaluta e chiude in stereotipi.
Eppure, spesso, questi pregiudizi emergono, non mediati, da nostri gesti, da esternazioni “di pancia”, dal modo in cui raccontiamo, ci rivolgiamo a queste persone.
L’Italia si è (ri) scoperta razzista in occasione della nomina a ministro dell’On. Cecile Kyenge.
Sono imperversati i commenti razzisti che arrivavano non solo dalle direzioni previste e conosciute ma a 360° gradi.
Li guida il pregiudizio che “extracomunitario” corrisponda con “clandestino” se non “delinquente” indi, pericoloso. Nessuno si sognerebbe a chiamare extracomunitario (nel senso dell’uso comune) un cittadino degli USA e i cittadini rumeni, attualmente “comunitari”, ancora vengono colorati con i sottintesi che il termine extracomunitario porta con sè.
E allora si assiste alla (pietosa) intervista portata avanti da Lucia Annunziata nella sua mezz’ora. Dire che fosse infarcita di pregiudizi è dir poco. Il pregiudizio fa si che l’altro oggetto del nostro disprezzo si collochi un gradino sotto noi e sotto i nostri “simili” e allora merita un trattamento diverso.
E si assiste ancora all’infelice uscita del Presidente Grasso in merito allo ius soli, quando paventa orde di donne (extracomunitarienelsensocheabbiamodetto) pronte a partorire in Italia per bearsi della cittadinanza.
Sono uscite di pancia, a cui solo in seguito si cerca di dare un manto di razionalità. Ma proprio perchè di pancia, non riconosciute molto spesso a priori per cui di fronte a questo altro me che emerge e irrompe nel mio quotidiano siamo spaventati e il primo istinto è cacciarlo.
E si fa notare come verso Iosefa Idem non si è alzato alcuno scudo pur essendo lei di origine tedesca.
Il pregiudizio è una catena che ci impedisce di andare avanti e ad oliare quella catena è la paura, paura del cambiamento, paura di confrontarsi con ciò che non è conosciuto e quindi potenzialmente distruttivo del nostro status quo.
Inutile dire che questo non è stato il motore del mondo… perlomeno non vedo clave in giro.
(1) Il pregiudizio viene alimentato dalle paure e le fobie del singolo individuo ed è generalmente basato su una predilezione immotivata per un particolare punto di vista o una particolare ideologia. Il pregiudizio può ad esempio condurre ad accettare o rifiutare la validità di una dichiarazione non in base alla forza degli argomenti a supporto della dichiarazione stessa, ma in base alla corrispondenza alle proprie idee preconcette. Un pregiudizio può portare al razzismo, perché si ha paura dell’altro, dell’altra cultura, specie quando la si conosce poco.
La convivenza tra persone di culture diverse è una questione di notevole rilevanza sociale, come testimoniano in questi anni le ostilità profonde tra paesi di cultura e religioni diverse. E notevoli sono i conflitti che si verificano nei paesi di antica immigrazione. La Psicologia sociale cerca di comprendere le ragioni di tali rivalità, per prevenirle e costruire le condizioni di una civile convivenza indicando strategie utili al fine di costruire rapporti armoniosi tra i gruppi nelle moderne società. http://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4237-basi-psicologiche-pregiudizio.html)
Quest’ opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported.
Sonia Bertinat
Ultimi post di Sonia Bertinat (vedi tutti)
- La fatica del cominciare - 5 Marzo 2022
- “Game Hero” contro il panico morale verso i videogiochi - 16 Novembre 2021
- Umanità digitale - 29 Ottobre 2021
Comments 5
Pingback: Le nebbie della paura - Identità in gabbia di Sonia Bertinat
Pingback: Idee di testa e idee di pancia: il coming out visto dai genitori - Identità in gabbia di Sonia Bertinat
Pingback: Percezione di sicurezza: un'errore del nostro cervello? - Identità in gabbia di Sonia Bertinat
Pingback: Straniero ed estraneo: una storia che si ripete - Identità in gabbia di Sonia Bertinat
Pingback: Istinti vestiti: pregiudizi e ineluttabilità - Identità in gabbia di Sonia Bertinat