[Tweet ““L’immaginazione non è il talento di alcuni uomini ma il benessere di ogni uomo.” R. W. Emerson“]
Per Jung, l’immagine, l’archetipo, appartiene all’inconscio collettivo. Quell’eredità che tutti noi alla nascita riceviamo in “dotazione” dalle generazioni precedenti. Gli archetipi sono il linguaggio comune tra gli uomini e li ritroviamo nella mitologia o nelle fiabe ad esempio.
Il nostro inconscio ci parla tramite immagini (i sogni, in primis, o le fantasie) che la parola rielabora per essere comprese dalla mente conscia. L’immagine, meglio della parola (frutto del processo secondario, razionale), corrisponde al linguaggio, al contenuto della nostra interiorità.
Gli artisti delle arti visive lo sanno bene, ma anche gli scrittori puntano sulla descrizione di immagini, l’uso di metafore immaginifiche per trasmettere quell’insieme di emozioni, pensieri e parole che solo un messaggio visivo può fornire in modo sintetico. L’incontro con queste immagini “risuona” in noi stimolando ciò che in noi è conosciuto ad un livello che non sempre approda alla coscienza.
Nella mia pratica professionale prediligo l’utilizzo delle immagini per la comunicazione dello stato del paziente. Spesso trovare le parole per dare nome ad un’emozione, ad uno stato d’animo, ad un pensiero che compaiono fugaci ma non si riesce ad afferrare, risulta impossibile. La nostra mente cosciente li sente sfuggire come sabbia tra le dita. Per questo abbiamo bisogno di ricorrere alle immagini in quel caso. Queste, se si lascia da parte il pensiero razionale, emergono, spontaneamente, alla coscienza. Quello che magari richiederebbe un giro di parole complicato, l’immagine lo riassume in sé in una visione immediata. In questo senso l’immagine assume il significato di simbolo, ciò che racchiude in sé ciò che non è esprimibile in altro modo o con altri mezzi.
Ma in realtà l’immagine è di per sé sufficiente a significare e da questa si può partire, amplificando, per raggiungere altre isole di significazione dentro di noi.
Percorrere la via delle immagini, senza sforzarsi di dar loro una ristretta interpretazione razionale, ci conduce nel profondo della nostra interiorità. Ci possono comunicare lo stato del nostro inconscio, come una fotografia che lo ritrae, possono indicarci le nostre potenzialità non ancora espresse, le vie che ancora non abbiamo intrapreso. Racchiudono in sé il racconto, l’emozione che ci comunicano.
Nello psicodramma o nell’immaginazione attiva, si segue l’emergere di queste immagini, le si amplifica con le altre sollecitazioni che emergono fino a comporre un quadro emotivo di senso. Il dare parola a questo quadro, come accade nell’arte non è fondamentale. O perlomeno non è obbligatorio.
Riappropriarsi delle immagini che incontriamo nel nostro percorso interiore porta a quello che Jung definiva individuazione, il raggiungimento del nostro vero Sé.
Sonia Bertinat
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